SIPARIO …
di
Andrea Castagna
Mentre siamo “Tra color che son sospesi” vien reso ufficiale e pubblicato il nuovo Dpcm (decreto del presidente del consiglio dei ministri), e dopo aver ascoltato il rincorrersi di voci e brusii su quel che “potrebbe essere inserito”, arrivano puntuali le note stonate in merito ai luoghi del sapere e della cultura. La nuova chiusura dei teatri rischia di essere un colpo definitivo verso un settore già lungamente martoriato, potrebbe realmente essere “la porta dell’inferno” della cultura italiana, della cui sopravvivenza i vari governi si sono occupati solo a spot e solo con eventi di “tendenza”. Rimane, però, un’enorme platea di operatori pesantemente esclusa dalle chiusure, artisti che perderanno nuovamente numerosi
contratti ed opportunità, difficilmente recuperabili. Con fatica, dopo la terribile prima ondata di Covid-19, le strutture culturali sono ripartite garantendo la partecipazione del pubblico nel rispetto assoluto delle disposizioni e, come dimostra una ricerca dell’AGIS (associazione italiana dello spettacolo), non risultano affatto contagi e tracciamenti tra il pubblico degli spettacoli dal vivo. Tuttavia, purtroppo, neanche questo è risultato sufficiente per evitare nuove chiusure.
Ma davvero stupisce tutto questo?
Sinceramente no.
Come può stupire qualcosa che gli operatori del settore vivono quotidianamente, un logorio lento che viene da lontano, in cui credo che, scientemente, si sia scelto di non rendere la cultura un’esigenza per l’intera popolazione. Il nostro paese ha la capacità particolare di specchiarsi tronfio per vantarsi delle bellezze ereditate ma, al tempo stesso, non è in grado né di conservarle dignitosamente né di crearne un sano valore sociale.
Il paese del bel canto non è in grado più di giudicare la bellezza di una voce, il paese della liuteria non è in grado di riconoscere la differenza tra un violino ed un violoncello, ma, ben più grave, viviamo un paese che considera i propri artisti (musicisti, attori, ecc..), non come meriterebbero.
Analizzare le singole cause sarebbe al limite del possibile, poche righe non sarebbero sufficienti. Ma c’è un aspetto che però andrebbe analizzato: come si alimenta culturalmente una comunità?
Non v’è dubbio che tutto nasce dalla scuola e da come essa viene strutturata in funzione di una crescita culturale significativa. Ci sono paesi europei in cui già in giovanissima età gli studenti sono nelle condizioni di sviluppare una forma d’arte, senza la pretesa che diventi necessariamente una professione, ma con lo scopo di formare intere generazioni con l’esigenza della bellezza. Musica, teatro, arte visiva, letteratura sono ricchezze immateriali che cozzano con il concetto del misurare il valore delle persone solo ed esclusivamente per la dimensione della ricchezza. Peraltro, non può che essere la scuola pubblica ad assolvere al compito di fornire a tutti gli strumenti per elevarsi, altrimenti, come dimostrano anche le ricerche della fondazione open-polis, chi cresce in contesti svantaggiati rischia di essere emarginato anche a livello di opportunità. Dobbiamo combattere con tutte le nostre forze per soffocare definitivamente l’idea diffusa che la cultura sia qualcosa riservato all’élite di una società. Lo diventa quando non si è in grado di renderla una necessità sociale. Tutta la comunità gioverebbe di un popolo che abbia la bellezza come propria esigenza.
Questa rivoluzione culturale potrebbe partire proprio ora, non facendosi soffocare dalla pandemia ma rendendola un’opportunità per cambiare. Lo stato potrebbe ora diventare il “Virgilio” delle nuove generazioni, salvandole dalla “selva oscura” dell’ignoranza, solcando invece il percorso verso la conoscenza. Mettendo i sigilli ai luoghi del sapere mostriamo ancora una volta l’immagine contraria. Rendiamoli luoghi in cui, nel tempo di altre chiusure, le comunità possono ritrovarsi, spazi in cui i frequentatori non abituali possano scoprire quanto la bellezza delle arti sia accogliente, non discriminante, ma soprattutto necessaria. I musicisti non traducono il codice musicale solo per diletto personale, lo fanno per offrire la grandezza di un linguaggio a tutti; gli attori entrano nelle maschere per farle vivere nel tempo; gli scrittori offrono la propria intelligenza per aiutarci a decodificare la realtà. Tutti svolgono una funzione vitale per la collettività, ed esercitano quasi sempre in condizioni di grande precarietà economica, con spazi sempre più stretti a causa di tagli indiscriminati attuati negli anni.
Tutto ciò che ruota intorno alla cultura non può più essere considerato solo un costo ma deve diventare l’investimento per la costruzione di una società migliore.
“Or movi, e con la tua parola ornata
e con ciò c’ha mestieri al suo campare
l’aiuta, sì ch’i’ ne sia consolata.”