SALIAMO SUL TRENO DELLO SVILUPPO
di
Andrea Castagna
Quando abbiamo riproposto, con il Centro Studi “Il Risveglio”, il tema della costruzione della linea ferroviaria Roma – L’Aquila -Teramo eravamo ben consci che sarebbe stato complesso alimentare anche il semplice dibattito, consapevoli di generare le più disparate negative reazioni.
Nelle tante interlocuzioni avute, l’argomento ferrovia è sempre stato liquidato, a tutti i livelli, come impossibile, inutile e troppo costoso.
Probabilmente è così.
Tuttavia la pandemia da Covid-19 ha cambiato molte carte in tavola e in alcune coscienze è ripartito un moto d’orgoglio per l’accelerazione infrastrutturale della nostra regione.
Il finanziamento, infatti, della velocizzazione della tratta ferroviaria Pescara – Roma ha mosso l’orgoglio delle istituzioni aquilane, che, dopo aver constatato l’esclusione del capoluogo di regione dal percorso, hanno reagito battendo qualche pugno su questo o quel tavolo, ottenendo un finanziamento di 40 milioni dalla regione Abruzzo per agganciare L’Aquila al treno romano.
Il Tema, quindi, è tornato al centro del dibattito, come è possibile vedere dai giornali degli ultimi giorni. Pertanto, umilmente, auspicavo una reazione da parte della comunità ad est del Gran Sasso, ossia quella teramana, considerando che il tema è sul piatto dal 1921 e che non ha più la spinta contraria di un certo partito politico i cui esponenti vantavano la costruzione di una scuola per interrompere i pruriti di allungamento della ferrovia.
Invece tutto tace.
C’è stata qualche piccola fiammata da parte dell’amministrazione cittadina teramana, come giusto che sia avendo responsabilità di lavorare per il progresso di una comunità, ma stupisce il contorno silenzioso ed indifferente, grazie a cui il vento ha portato via qualche buon proposito, dell’intera area teramana.
Con non poco stupore osservo l’apatia di una comunità che sembra rifuggire le opportunità del progresso, ancorata con forza ad un provincialismo esasperato, talvolta rivendicato con cieco orgoglio.
Subiamo, e in modo significativo, una sfortunata condizione di isolamento geografico su cui dovremmo lavorare duramente, rischiamo altrimenti di rimanere sempre indietro rispetto alla velocità della società iper connessa che ci circonda.
La pandemia ha anche evidenziato qualche limite delle grandi città, facendo riscoprire la bellezza della vita nei piccoli borghi e in provincia; tuttavia questa scia emotiva sembra già sul punto di esaurirsi e, neanche tanto lentamente, gli equilibri sono nuovamente di ritorno verso i grandi poli di attrazione.
Dunque dovremmo tentare di agganciare non solo i treni per la capitale ma le opportunità che ora questo nuovo scenario propongono. Dobbiamo recuperare la capacità di stimolare i nostri rappresentanti a lottare per ambiziosi obiettivi.
Risulterebbe da parte mia meramente populista puntare il dito solo sulla classe dirigente, il fatto che non vi siano figure all’altezza talvolta è suffragato da fatti e non da teorie, tuttavia quel che auspico sarebbe vedere un moto d’orgoglio della comunità teramana dinanzi ai grandi temi.
Abbiamo molto da imparare dai cugini aquilani, i quali sanno essere “comunità” nei momenti difficili e dinanzi a tematiche di grande portata, emotiva ed economica. Ad iniziare dal terremoto. Dopo il Sisma 2009 l’intera comunità, unita e salda, si è compattata, financo agendo con gesti significativi di protesta, per porre al centro della discussione nazionale il tema della ricostruzione e della moltitudine di sfollati. Dopo 12 anni, sono tanti per carità, L’Aquila sta lentamente uscendo dalle nebbie della ricostruzione e probabilmente saranno necessari altrettanti anni per la ricostruzione economica e sociale della città, però, dinanzi alla possibilità di riportare il capoluogo al centro del dibattito e al centro dell’interesse infrastrutturale, ancora una volta, i cittadini e i loro rappresentanti hanno dimostrato di saper combattere per ottenere un risultato.
Ma non solo i nostri cugini aquilani, anche i vicini ascolani sono riusciti, con una corposa raccolta firme, a far pesare la volontà popolare di realizzare un collegamento ferroviario veloce con Roma. Il progetto è stato approvato e finanziato.
Forse da questo lato del Gran Sasso dovremmo maturare la capacità di riunire le esigenze dei territori, valutare, con lungimiranza, le opportunità di sviluppo. Dobbiamo muovere le nostre coscienze a non subire passivamente la visione egoistica, lontana, anzi lontanissima, dal senso di comunità. Questo, a mio avviso, è il punto: essere uniti per avere tanta forza, non avendo quella dei numeri (della popolazione) e delle dimensioni, la compattezza potrebbe diventare il valore aggiunto.
È l’ora di mettere da parte il nostro campanilismo esasperato.
Se non vogliamo perdere ancora intere generazioni di figli della nostra terra, è giunto il momento di cambiare passo, di osare e di lottare per progetti infrastrutturali che ci facciano compiere il salto di qualità.
La ferrovia, infatti, ci permetterebbe, come abbiamo già in passato sostenuto, di tentare anche una riqualificazione delle aree interne, che inesorabilmente si svuotano. Il mio umile appello è quello di unirsi attorno all’esigenza estrema di un’importante svolta per la nostra terra e, al contempo, smettere di derubricare le buone idee come “irrealizzabili sogni”.
Forniamo un’ulteriore fonte di sviluppo alle nostre eccellenze, alle nostre bellezze. Dalla gastronomia alla natura, passando per la cultura, potremmo creare fonti economiche importanti, non lasciamoci sopraffare dall’eterna sindrome del villaggio: non si entra e si esce solo.
Solo che a forza di uscire rimane sempre meno.
Coraggio, Reagiamo.
Teramo, 20.11.2021