LA GUERRA FISCALE SBAGLIATA
Di
Peter D’Angelo
E’ IN ATTO LA GUERRA FISCALE CONTRO I SOGGETTI SBAGLIATI, SE CONTINUIAMO COSI PERDIAMO LA PARTITA
Vincenzo Visco, l’ex ministro dell’economia – dei governi Prodi, D’Alema e Amanto -, è critico sulle misure di contrasto all’evasione che ”avviene per la gran parte senza contante, semplicemente manipolando i bilanci delle imprese”. Come sostiene anche il Presidente dei Commercialisti Massimo Miani che ha detto ad Agorà “Si colpiscono i soliti, quelli che dichiarano ma non si fa nulla contro gli invisibili, gli evasori totali”. Se poi si vanno a spulciare le statistiche sui Contenziosi Tributari pubblicati annualmente dal Mef, si vede che le vittorie del Fisco in Ctr (Commissione Tributaria Regionale) contro i cittadini sono diverse da quanto ci si potrebbe aspettare: L’agenzia fiscale vince il 42%, contro il 38,9% di vittorie del contribuente, e il restante 19,1% è composto di altri esisti e giudizi intermedi.
L’ITALIA PERDE 21 MILIARDI L’ANNO PER COLPA DEGLI UTILI SOCIETARI SPOSTATI NEI PARADISI FISCALI
Non solo, perché a fare i conti in tasca al belpaese vien fuori che l’Italia perde 21 miliardi di euro di entrate fiscali a causa dello spostamento di utili societari tra Irlanda, Olanda, Belgio e Lussemburgo l’anno, secondo le stime di Gabriel Zucman, docente di economia della Berkeley University e membro della dell’ICRICT – la commissione internazionale indipendente che studia le dinamiche fiscali a livello internazionale –; la concorrenza intraeuropea è sleale. Anche Draghi l’ha detto. E’ in atto una guerra fiscale invisibile, non ci sono truppe sul confine o trincee ma gli effetti negativi sulle economie dei 28 paesi UE si sente. D’altronde guerre daziarie, valutarie e fiscali sono ormai le nuove forme di aggressione tra paesi.
Secondo il World Factbook della CIA, l’Olanda attira una volume di investimenti esteri diretti di 5.500 miliardi di dollari, superiore a Germania – con 1.665 miliardi di dollari -, e Stati Uniti con 4.080 miliardi. Mentre l’Irlanda – 1.540 miliardi -, ha investimenti esteri pari alla Cina – 1.523 miliardi -, una polaroid abbastanza chiara, dettata dalla distorsione fiscale.
COME VIENE CALCOLATA L’EVASIONE?
Il calcolo dell’evasione – dell’Istat – utilizza lo stesso principio matematico che sta alla base degli studi di settore, che tante distorsioni hanno creato tanto da essere stati messi in cantina e sostituiti dagli ISA – indici sintetici di affidabilità-, non sono sfumature, come dice anche l’ex viceministro Enrico Zanetti: “Sono calcoli spannometrici”.
I VANTAGGI FISCALI INDEBITI SONO AIUTI DI STATO, E VANNO CONDANNATI
Non è la prima volta che gli uffici antitrust dell’Ue, guidati dalla commissaria Ue alla Concorrenza, Margrethe Vestager, sanzionano accordi fiscali – e quindi vantaggi -indebiti per società che operano in Europa. L’ultima sentenza in senso cronologico, è quella del 26 settembre, quando la Corte di giustizia europea ha ordinato al gruppo automobilistico Fiat Chrysler Automobiles (Fca)di pagare 30 milioni di euro di tasse arretrate al Lussemburgo, dirimendo una controversia sugli aiuti di Stato. La corte ha ritenuto un vantaggio illecito lo sconto ricevuto da Fca dallo Stato del Lussemburgo nel 2012.
(https://curia.europa.eu/jcms/upload/docs/application/pdf/2019-09/cp190118en.pdf)
Molto più importante è la multa di 13 miliardi ad Apple, che l’azienda americana ha pagato all’Irlanda per tasse arretrate. L’indagine concluse che Dublino aveva accordato un aiuto di Stato, attraverso aliquote agevolate nel periodo 2003 – 2014.
LACUNE FISCALI: QUALE SOLUZIONE?
Perché il welfare Occidentale (con le dovute distinzioni da nazione a nazione) subisce il contraccolpo dell’elusione fiscale? Quanto vale il buco nero della finanza fantasma: 15 trilioni di dollari depositati – fonte FMI – nei paesi offshore. La metà in Lussemburgo e Olanda. Attualmente l’imposizione delle imprese presenta lacune estreme che sono usate dalle multinazionali per un’ottimizzazione fiscale insostenibile. Le filiali di una Big Company contano come “entità fiscale separate”, la questione centrale è che le multinazionali non le dichiarano dove operano effettivamente, ma dove pagano meno tasse. Le filiali fatturano servizi con costi sostanziosi alla casa Madre, e così si assottiglia la base imponibile della Big Company. E’ così che si spostano i guadagni da un paese all’altro. Per porre un termine a questa pratica, l’ICRICT (indipendent Commission for the Reform of International Corporate Taxation) – che ha dentro economisti come il premio nobel Stiglitz e anche Piketty – propone di tassare interamente l’impresa («Unitary Taxation») sul piano internazionale. Secondo questo principio, le multinazionali sarebbero considerate come una sola entità dal punto di vista del diritto fiscale e i loro guadagni distribuiti fra le filiali secondo l’attività economica effettiva svolta in un dato paese e sarebbero tassati a livello nazionale in base ad una formula («formulary apportionment»).
GLI IMMOBILI IN ITALIA, NON SI CONOSCE L’UTILIZZO DI 7,8 MILIONI DI IMMOBILI
Partiamo dal 2012, anno in cui inizia a essere compito dell’Agenzia delle entrate offrire i servizi catastali e geotopografici, curare la conservazione dei registri immobiliari, gestire l’Osservatorio del mercato immobiliare (Omi) e fornire servizi estimativi alle pubbliche amministrazioni. Il concetto è raccogliere dati, senza i quali è piuttosto complicato capire quanti immobili possiede una persona o una società e far pagare di conseguenza. Ma già dalle prime pagine del report pubblicato nel 2017 dall’Agenzia delle entrate sullo stato degli immobili in Italia5 emerge una fotografia assai impressionante. Basta sfogliare il capitolo dedicato allo stock immobiliare in Italia e all’analisi degli utilizzi: per ben l’88 per cento degli immobili delle persone non fisiche (Pnf ) non si conosce l’utilizzo. L’Agenzia dichiara proprio questo. Non risulta noto l’utilizzo di circa 4,1 milioni di unità immobiliari. A queste vanno aggiunti gli immobili delle persone fisiche (Pf ) di cui non è noto l’utilizzo. Si parla di altri 3,7 milioni di immobili, ai quali non è stato possibile associare lo specifico utilizzo per vari motivi: o perché l’immobile non è stato riscontrato in alcuna dichiarazione dei redditi o perché non è stato possibile attribuirgli un utilizzo. Tra le unità immobiliari non riscontrate nelle dichiarazioni dei redditi (1,5 milioni di unità) possono concentrarsi casi di soggetti residenti all’estero. Insomma, facendo la somma totale si può dire che per circa 7,8 milioni di immobili non si hanno informazioni note sull’utilizzo. Ma allora chi verifica il corretto pagamento delle imposte su queste unità immobiliari?